Da semplice cittadino, mi sono avvicinato a Pro.di.Gio dopo un’attenta lettura dei suoi obiettivi, in particolar modo del primo punto che recita così: “condizionare la vita politica-istituzionale della città, stimolando la partecipazione dei cittadini alla vita politica, sociale e culturale della città per renderli consapevoli dell’attività amministrativa svolta dagli organi di governo del Comune”.
Non è un compito facile, ma chi ha a cuore le sorti del proprio paese e milita in una qualsiasi formazione civica, sociale e/o politica, deve fare i conti con questo tema. Chi si cimenta su questo piano, se oggi non affronta lo scollamento che c’è fra società e politica, non vuole bene al proprio paese. Per questo motivo, ho sempre pensato che Gioia dovesse dotarsi di strumenti di democrazia partecipativa: l’obiettivo è quello di restituire ai cittadini le funzioni e l’orgoglio dell’appartenenza ad una comunità, ritornando ad essere i principali artefici delle sue scelte e del suo sviluppo. Se i cittadini vengono maggiormente coinvolti nei processi decisionali, se essi avvertono che, anche singolarmente, possono influire in modo concreto sulle decisioni relative alla cosa pubblica, con ogni probabilità parteciperanno e si interesseranno di politica.
Lo strumento di attuazione della democrazia partecipativa cui ho sempre pensato è il Comitato di Quartiere.
Teoricamente esso dovrebbe nascere per maturità civica dei cittadini. Spesso, invece, sono le realtà territoriali che creano le condizioni e gli stimoli per farlo nascere.
E’ un atto di maturità che insegna la capacità di reagire agli eventi in modo consapevole e responsabile. In senso lato, insegna la capacità di prevenire e anticipare i problemi e i bisogni futuri e, più in generale, l’abilità nel gestire i cambiamenti.
Alcuni luoghi comuni dicono che i cittadini non si impegnano, eppure, anche se in minoranza, ci sono
persone che si attivano, si muovono: semmai, è da considerare che ci sono realtà locali dove queste forme di partecipazione sono più sviluppate.
Per quanto riguarda gli stimoli alla partecipazione, è più facile che un cittadino partecipi se ha una buona ragione e se c’è un’organizzazione, cioè se c’è la possibilità di fare qualcosa insieme ad altri. Ci possono essere cittadini che hanno risorse, che hanno motivazioni, ma che non hanno un’occasione e un supporto organizzativo.
Con i comitati di quartiere, sarà più facile che i cittadini partecipino e si organizzino autonomamente, così com’è più probabile che altri cittadini si avvicinino alla vita pubblica.
Questo tipo di partecipazione è previsto dalla Costituzione, precisamente nel 4° ed ultimo comma dell’art. 118, che dice: “Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
La sussidiarietà è un principio regolatore tale che, se chi sta “più in basso” – anche un singolo cittadino – è in grado di prendere iniziative che riguardino l’interesse generale, l’ente che sta “più in alto” deve lasciargli questo compito, sostenendone eventualmente l’azione.
Lo stesso principio è riportato al punto 5 dell’art. 3 del Testo Unico sulle autonomie locali (Dlgs 267).